Sabato 27: “La questione energetica nelle Marche”

La questione energetica nelle Marche. Centro Pergoli di Piazza Mazzini ore 17, Falconara Marittima


Promuovono:

Ambasciata dei Diritti Falconara
Assemblea Permanente NoCentraliAPI
Movimento a difesa del consumatore Marche

All’incontro interverranno, insieme alle associazioni proponenti, la Direzione della della rivista Prisma ed alcuni degli Autori che hanno partecipato alla redazione del numero presentato:

Gianni Silvestrini, Direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia;
Fabio Polonara, Professore dell’Università Politecnica delle Marche;
Maurizio Di Cosmo, Segretario regionale della CGIL Marche.

A seguire dibattito aperto.

Per maggiori info:

www.falkatraz.noblogs.org

www.nocentraliapi.noblogs.org

ambasciatadeidiritti@inventati.org

nocentraliapi@inventati.org

locandina dimensione large

locandina informativa 1, 2

Questa iniziativa nasce dalla partecipazione di alcuni degli organizzatori al numero 3 della rivista “Prisma, economia, società lavoro”, redatta dall’istituto di ricerca regionale Ires Marche, con un articolato commento sul numero monografico che tratta della “questione energetica nelle Marche (che trovate a questo link).
A seguito di questo invito ci è sembrato naturale organizzare un momento informativo e di confronto su una questione attuale e spinosa, per evitare che tematiche così fondamentali restino appannaggio degli “addetti ai lavori”, e promuovendolo anzi in uno spazio non accademico e indirizzato alla cittadinanza.

In un periodo di forti cambiamenti, anche ma non solo dettati dalla crisi globale in atto, la questione energetica assume una rilevanza strategica e si pone come uno di quegli aspetti capaci di coinvolgere e rideterminare ambiti generali e centrali che riguardano lo sviluppo produttivo, la qualità della vita, la sostenibilità ambientale, la distribuzione di risorse, l’effettiva democraticità di una comunità.

La recente Conferenza ONU sul clima COP 15 di fine 2009, al di là dell’incapacità di formulare un accordo politico vincolante per proseguire sulla strada aperta dal trattato di Kyoto, ha rilevato due assi di discussione futura unanimemente condivisi.
Lo sviluppo storico con cui la modernità ha cambiato la faccia del mondo, la produzione industriale legata ai combustibili fossili, è ormai sul punto di esaurirsi. Il suo complesso lascito consiste anche in danni incalcolabili alla biosfera ed al nostro ecosistema che mettono a repentaglio il nostro futuro e con i quali dovremmo già da ora fare i conti. Allo stato attuale la produzione da combustibili fossili non solo pecca per la sua nocività ambientale, ma rappresenta uno dei fattori economico-finanziari responsabile della crisi in atto: oltre ad inquinare, non produce più ricchezza. Tutte le delegazioni nazionali, benchè restie ad accettare una autorità garante e vincolante, che dall’esterno detti le regole in materia (per ovvi interessi sovrani e per evitare che attraverso l’istituzione di organismi sovranazionali alcune superpotenze riescano ad influenzare e dirigere le politiche nazionali anche oltre l’attuale…), hanno comunque presentato propri programmi di investimento sulle fonti rinnovabili e sull’energia pulita per il presente ed il prossimo futuro.  Si tratta di tutt’altro che scelte di facciata: l’economicità, la diminuzione dei costi collaterali e degli sprechi, la creazione di nuovi mercati e di nuovi consumi, la capacità di riassorbire, di ricollocare, di creare da zero nuovi posti di lavoro (già dallo stato attuale in percentuali superiori rispetto ai vecchi impianti a combustibili fossili…) sono ormai dati di fatto e non più possibilità o sperimentazioni marginali. Anche i grandi inquinatori globali, gli USA, la Cina, gli stati asiatici e il Brasile, sono saliti sul treno delle rinnovabili.

L’Unione Europea lo è già da tempo, non tanto per questioni ideali, ma soprattutto materiali: soffrendo ormai la competitività internazionale asiatica, mediorientale e americana e rischiando di rimanere fortemente dipendente in materia energetica dall’estero (nella raffinazione del petrolio e nella combustione combinata del gas i ridotti standard ambientali, del costo del lavoro, e dei diritti democratici, consentono a Cina India e altri di installare megapetrolchimici e raffinerie e traspostare in mezzo mondo i propri prodotti a prezzi ridotti e competitivi rispetto a quelli di produzione interna…) l’Europa è all’avanguardia nelle nuove tecnologie e produzioni legate al cosiddetto “capitalismo verde”.
Anche a livello istituzionale si sta imponendo una nuova legislazione europea di incentivi e sanzioni (quanto paghiamo per i ritardi sul protocollo di Kyoto…)per spingere in questa direzione, che premierà i virtuosi e penalizzerà ancor più le economie nazionali ancora ancorate a conservare interessi ormai corporativi ed economicamente non più funzionali.
In quest’ottica l’Italia rischia la parte del fanalino di coda: l’attuale politica governativa non solo non incentiva il campo delle rinnovabili ma rilancia, oltre alla scelta nuclearista, che prevede tra l’altro tempi lunghi di implementazione (almeno un ventennio), su scelte conservatrici di tutt’altro tipo: il carbone, le centrali elettriche a metano, i rigassificatori. Di questi ultimi in Italia ne sono previsti 11 (4 nelle sole Marche), di cui alcuni applicando tecnologie scarsamente sperimentate a dagli elevati rischi (rigassificazione off-shore). Se consideriamo che un territorio sconfinato come gli Usa ne hanno solo 4, e che questa scelta tecnologica è avallata unicamente da quei paesi per cui questioni geografiche e morfologiche rendono di difficile applicazione l’approviggionamento via gasdotto, non possiamo non considerare la scelta di trasformare l’Italia nella piattaforma europea del gas, in alternativa ai gasdotti asiatici, sia come minimo avventata…

In questo scenario la Regione Marche ha da tempo assunto una posizione chiara con il PEAR, il piano energetico ambiantale regionale approvato nel 2005, che prevede l’incentivo del risparmio energetico, delle fonti rinnovabili e della microgenerazione e produzioni diffusa di impianti di piccola e media taglia. Meno chiara la situazione quando si passa dalla dalle parole ai fatti. L’applicazione del piano, in questo primo quinquennio si è scontrata con lungaggini ed inefficienze amministrative, con il disinteresse della classe politica, con resistenze localistiche, e con la pressione degli interessi corporativi, restii a scelte innovative a votate al cambiamento.
A tutto questo si aggiunge la questione dell’AERCA, della Vallesina come il fulcro direzionale e produttivo delle Marche, che reclama da dieci anni opere di bonifica e compatibilità ambientale e non ulteriori impianti e infrastrutture inquinanti e non più sostenibili. Richieste tanto legittime quanto ancora pesantemente disattese…

Siamo quindi proprio in mezzo ad un guado, ed ad una serie di bracci di ferro per determinare le scelte strategiche del prossimo futuro. Scelte che influenzeranno pesantemente la nostra economia e la nostra qualità della vita. Scelte che costituiscono anche opportunità di uno sviluppo e di una crescita nuova. Scelte che meritano un dibattito approfondito e la partecipazione di tutti. Scelte che potranno rappresentare un nuovo slancio per l’economia e un punto di vista privilegiato per governare una riconversione produttiva necessaria, prima o poi. Perdere quest’occasione costituirebbe rassegnarsi al dispiegarsi senza argini della crisi. La prospettiva peggiore sarebbe quella di dividersi ancora una volta tra i fautori dell’ambientalismo ad ogni costo e quelli della difesa dell’interesse immediato ad ogni costo. Cambiare ora significa anche e soprattutto scongiurare nuove e prevedibili crisi sistemiche poi. Non vogliamo più ecomostri, tanto meno impianti dismessi che scaricano il peso del proprio smaltimento sul territorio. Nè le nuove centrali Api, tanto meno una nuova ex Montedison…Oggi è invece possibile percorrere la strada di una nuova occupazione e di diversi impianti produttivi, più compatibili col territorio e protagonisti di un nuovo sviluppo.

Rispetto al 2007 aumenta la produzione di energia elettrica lorda, in particolare da fonti rinnovabili (idroelettrico e fotovoltaico): si registrano una riduzione del deficit elettrico, che passa dal 54% al 49,1%, una riduzione delle perdite che passano da 578,4 a 558,2 GWh e dei consumi finali di energia elettrica, che si riducono del 4,7%…Non esiste quindi una “emergenza energetica” nelle Marche nel senso di una crisi incontrollabile nelle disponibilità di energia (…) sulla base dei dati più recenti (luglio 2009) e, limitatamente alle informazioni delle fonti ufficiali e di quelle interne all’ente Regione, segnalano un totale delle potenze elettriche pari a MWe 479,156. una produzione annua di energia elettrica di GWh 1.264,822 corrispondente a circa il 52,35% della produzione prevista dal PEAR, a seguito della sua attuazione, per il 2015, pari a GWh 2.607,00 ed un abbattimento di Co2 di + 900.782,00, pari all’86,28% di quanto previsto dal PEAR al 2015. (…) Ogni azienda italiana paga l’energia elettrica 1.380 euro in più rispetto alla media UE mentre, se trasliamotale considerazione a livello regionale, osserviamo che il maggior costo medio per l’impresa marchigiana è pari ad Euro 1.178 l’anno a fronte di Euro 2.790 del Friuli Venezia Giulia e di Euro 492 della Calabria. Ci collochiamo quindi al tredicesimo posto tra le regioni italiane, considerando al primo posto la regione con il conto più salato rispetto alla media UE che è appunto il Friuli…L’argomento di un maggior costo pe rle imprese marchigiane rispetto a quello delle regioni italiane concorrenti appare quindi, secondo questa fonte autorevole, destituito di fondamento (…)

(dall’articolo di Antonio Minetti)

Centrali API e PEAR

Ci troviamo difronte a due scelte strategiche confliggenti e inconciliabili…Se da un lato si scommette su risparmio energetico, microgenerazione diffusa e decentrata, filiera corta, slancio verso le energie pulite e rinnovabili, e valorizzazione della formula del distretto industriale, “aspetto peculiare della realtà economica marchigiana “, dall’altro il discorso è diametralmente opposto:

il paradigma del “risparmio di territorio”, ossia concentrare nuovi impianti, di grandi dimensioni, in ambienti già deputati, diremmo eccessivamente, a svolgere quelle funzioni produttive e di servizio, conduce a una politica conservatrice e scarsamente predisposta al cambiamento e all’innovazione. Insomma inquinare di più dove già si può sarebbe meglio, secondo costoro, che distribuire, condividere e progressivamente mitigare l’impatto ambientale di infrastrutture necessarie quanto invasive…

L’API attraverso la centrale elettrica esistente IGCC copre già circa il 30% del fabbisogno energetico regionale. L’esclusiva dipendenza regionale da un unico partner che si determinerebbe se venissero costruite le megacentrali delinerebbe uno scenario di monopolio di fatto e condizionamento privato in un settore strategico e di interesse pubblico i cui scenari sarebbero pericolosi e poco auspicabili.

La cura sarebbe quindi ben peggiore del male, mentre l’unica strada futuribile e realistica per conquistare una autentica autonomia energetica passa giocoforza attraverso lo stimolo di una effettiva e pluralistica “democrazia energetica”, basata su gestione e sostegno pubblico all’innovazione tecnologica, alla ricerca, al tessuto della piccola e media impresa del territorio, alla riconversione energetica degli enti pubblici locali, alla partecipazione, socializzazione e riappropriazione energetica della cittadinanza, in forma privata e associata.

(Dai Commenti da parte dell’Assemblea Permanente NoCentraliAPI)

L’efficienza energetica e le energie rinnovabili sono interpreti di un nuovo paradigma dello sviluppo, da coniugare in termini di sostenibilità. Non tutti sono saliti su questo treno, a dire la verità, ma è verosimile pensare che molti lo facciano a breve.

A livello locale, al contrario, i temi energetici hanno lasciato spazio a contingenze più immediate, sempre dettate dalla crisi. Le innumerevoli e gravi crisi occupazionali hanno preso molto dello spazio prima occupato dal dibattito sui costi dell’energia per le aziende marchigiane. Sul territorio sono rimasti però alcuni punti caldi: quelli, tanti, in cui la prospettiva di una installazione energetica ha sollevato le ire dei cittadini, impauriti dalle ricadute di tali installazioni sulla loro salute.

Queste considerazioni sono alla base della decisione di dedicare all’energia un numero monografico di Prisma. Il duplice aspetto globale/locale ha consigliato di adottare, anche in questo numero della rivista, la configurazione con una sezione di “questioni generali” dove si affronta il problema nei suoi termini complessivi, ed una per il “contesto locale” in cui il problemaviene immerso nella realtà del nostro territorio.

(Dall’editoriale)

20, 20, 20

Il numero 20 ripetuto tre volte per i tre obbiettivi su rinnovabili, efficienza e riduzione dei gas serra è considerato, del resto, dalla numerologia «il numero del risveglio per tradurre i sogni e i piani in azione». Risveglio che in alcuni Paesi è già avvenuto. Consideriamo la rapidità di diffusione delle fonti rinnovabili in Germania. Dal 1998 al 2008 la percentuale di elettricità verde è passata dal 5% al 15% dei consumi. Secondo il Governo tedesco, alla fine del prossimo decennio si dovrebbe superare la soglia del 30%. Non stupisce che gli obbiettivi di elettricità verde al 2010 siano stati raggiunti in anticipo, mentre per altri Paesi come l’Italia il ritardo sia molto forte.

Ma il risveglio non riguarda solo l’Europa. Due anni dopo la storica decisione dell’obbligo del 20% di energia verde, la situazione internazionale è cambiata completamente.

(Dall’articolo di Gianni Silvestrini)

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